Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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La storia della spongata - Divagazioni e antiche fake news

NOTA- Vedi qui la Ricetta della spongata "Degli Svizzeri" di Pontremoli 

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A leggere ciò che si scrive in merito alla storia della spongata sembra di avere davanti il manuale delle fake news! È una raccolta di invenzioni di sedicenti studiosi i quali, invece di studiare, lavorano di fantasia. E poi vi sono decine di persone, che non pensano, ma copiano, e le divulgano in decine di siti Internet.

    I dolci speziati
    I dolci speziati, nati dopo le Crociate per il maggior afflusso di spezie e diffusi in Italia, Spagna, Germania, Francia, si possono distinguere in:
- pani dolci lievitati e speziati (pain aux épices in Francia) in cui alla pasta di pane vengono uniti cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero; dopo la scoperta dell’America queste spezie (note come le quattro spezie) vennero in parte sostituite dal pimento. In Germania è famoso il Lebkucken in cui alla farina, usualmente di segale, viene unita frutta secca macinata; la varietà di miscele di spezie è grande e vi si aggiungono cardamomo, anice, finocchio, coriandolo, macis.
- pani dolci non speziati, ma caricati di frutta secca e canditi come il panettone genovese o la bisciòla valtellinese o il pangiallo laziale.
- dolci a base di frutta secca, spezie, miele, pochissima farina, non lievitati, come il panpepato, il panforte, lo Zelten attuale di Bolzano, il frustingo marchigiano. Gli ingredienti del frustingo, in una delle più delle 20 varianti locali, sono: 1/2 kg fichi secchi - 50 gr uva passa - 50 gr mandorle pelate e tostate - 50 gr noci sgusciate - 1 tavoletta da 80 gr di cioccolato fondente - 2 cucchiai di miele - 1 cucchiaio di zucchero - 1 cucchiaio di pangrattato - buccia di 1 limone grattugiata - 1 filo di vino cotto - 1 bicchiere d’olio. Plinio parla di una pane piceno impastato con fichi secchi ( Plinio il Vecchio, 106, in Naturalis Historia, vol. 18: Durat sua Piceno in panis inventione gratia ex alicae materia. eum novem diebus maceratum decumo ad speciem tractae subigunt uvae passae suco, postea in furnis ollis inditum, quae rumpantur ibi, torrent. neque est ex eo cibus nisi madefacto, quod fit lacte maxime mulso.
- dolci in cui l’impasto di frutta secca macinata, di canditi finente tritati, di spezie, di miele, viene racchiuso in una sfoglia e poi cotto; questa è la vera caratteristica spongata pontremolese in cui la sfoglia è alquanto sottile. Analoga la rocciata umbra che contiene mele in una sfoglia, talvolta arrotolata e che quindi ricorda lo Strudel di mele. Eppure ci sono i soliti studiosi convinti che lo Strudel sia nato a Vienna nel 1696, dopo la vittoria sui turchi!
Solo nell’Ottocento si introdusse in alcune ricette l’uso di un po’ di cacao.
Anche in Svizzera questi tipi di dolci sono diffusi: ad es.
- Il Magenbrot (biscotti per lo stomaco): Il sapore ricorda molto quello del pan di zenzero. È infatti un biscotto speziato, piccolo e scuro, profumato con cannella, anice stellano, chiodi di garofano e noce moscata. Nel mondo germanico si usava il Magenzucker, che erano semplici cristalli di zucchero insaporiti con cannella, buoni come caramelle per bambini e considerati un toccasana per disturbi allo stomaco!
- Gli Appenzeller Biberli: Una specie di pagnottine panpepato, dalle mille forme diverse, ripiene di pasta di mandorle, diffuse in molti cantoni. Le spezie di solito usate per dare profumo a questa ricetta sono zenzero, noce moscata, cannella e chiodi di garofano. Tradizionalmente l’impasto viene premuto in una forma di legno prima della cottura.
- I Basler Leckerli: sono piccoli biscotti speziati che ricordano il panpepato, originari di Basilea e rappresentano una tradizione molto antica. Miele e spezie sono mescolate con canditi, frutta secca, un goccio di Kirsch, farina, zucchero e lievito. Una volta cotti sono coperti con una glassa a base di zucchero a velo e acqua o Kirsch e poi divisi in quadrotti dolci e profumati. Da non confondere con i Berner Haselnusslebkuchen, i Lebkuchen di Berna alle nocciole, che assomigliano più a un marzapane aromatico, con nocciole e frutta candita, che a un pan di spezie, e sono tradizionali del periodo natalizio.

    Che cosa è la spongata
    Per comprendere la storia della spongata, prima di tutto bisognerebbe stabilire che cosa si intende con il termine spongata, perché non si sa bene come fosse fatta in passato, come si è evoluta e differenziata nei vari luoghi ove attualmente viene preparata. Forte è il sospetto che per ragioni commerciali essa, invece di migliorare, con il tempo sia peggiorata.
    La circostanza che sicuramente nei tempi antichi essa veniva formata entro stampi di legno intagliati con disegni che venivano impressi sulla parte superiore del dolce, mi fa pensare che la sfoglia doveva essere piuttosto rigida e tostata. Perciò una cosa ben diversa dalla abbondante pasta frolla usata nelle spongate emiliane, che deve essere mascherata con lo zucchero al velo!
    Fra tutte le spongate però quella che corrisponde a questo criterio e viene presentata come una specie di disco solare, con la crosta dorata e lucida, è solo quella di Pontremoli. In essa la crosta è solo un contenitore di un ricco impasto, alto anche tre cm. In tutte le altre (salvo quella di Sarzana in cui l'impasto è ancora abbondante) il dolce è diventato un sottile strato di impasto di frutta secca, canditi e spezie, racchiuso fra due strati alquanto spessi di pasta frolla. Cosa che rovina la spongata perché la pastafrolla è troppo dolce e copre il sapore del ripieno, troppo ridotto. Inoltre la superficie non rimane dorata, diviene bitorzoluta, e il produttore è costretto a coprirla di zucchero al velo per renderla un po' più appetibile.
    Se si ignora la classificazione fatta, è inutile ricercare il percorso di certe ricette e si finisce per collegare la Spongata allo Zelten del Sudtirolo (il cui nome non deriva affatto dal tedesco selten = raro, come si scrive bambinescamente, ma da un identico vocabolo medievale che indicava ogni pane in genere) o a ritrovare l’origine di una specialità in ogni cibo dolce del passato. Se uno vuole rallegrarsi l’animo, basta leggere tutti quei testi in cui pappagallescamente si legge che nella cena di Trimalcione e nei Fasti di Ovidio è un cibo che è all’origine della spongata (tratto l'argomento più avanti).
    Eppure vi è una professoressa *** di liceo che si è riscoperta studiosa si storia, e che "con puntuale e rigoroso riferimento alle fonti" scrive: "La spongata era il dolce dei pellegrini, perché ricco di calorie, e quindi adatto a sostentare durante il faticoso cammino dei pii viandanti, ma anche perché poteva essere conservato a lungo e costituiva quindi una riserva di cibo. Attraverso le vie di pellegrinaggio ha potuto così diffondersi in terre lontane, modificandosi cammin facendo in modo più o meno sostanziale, sino a superare anche le Alpi, per divenire il germanico “Zelten” (da REP Reggio Sport). "È proprio in Emilia, terra di smistamento e passaggio tra Nord-Sud ed Est-Ovest, che si annuncia il cambio lessicale tra spongata e Zelten. Più raffinata la prima, più aderente alla descrizione ovidiana il secondo, con la sua farcitura con i fichi di Caria, i “carica” dei Fasti" (Qui l'articolo pubblicato). Come si può pensare a collegare l'Emilia all'Alto Adige, ben 200 km più a nord ed a ricollegare lo Zelten odierno alla spongata medievale, senza che nessuno sappia come era fatto lo Zelten due secoli orsono? Ma, ci si chiede, è possibile che una professoressa di liceo citi Ovidio senza averlo letto, oppure, se lo ha letto, senza saperlo tradurre?
    Pura invenzione perché certo i pellegrini non viaggiavano a spongate, come gli esploratori con il pemmican! Pura invenzione per lo Zelten che alla spongata non ci assomiglia neppure da lontano.
    Del resto è metodo contrario ad ogni criterio di indagine storica il pensare che chiunque nell'antichità ha mangiato miele o fichisecchi sia stato l'inventore della spongata e che ogni dolce speziato sia collegato agli altri. Anche nella Bibbia si trova che la manna ha il sapore di una focaccia impastata con il miele, ma non è proprio il caso di scrivere che la spongata è nata nel Sinai al tempo di Mosè e che forse la ricetta era nella Tavola !
Ogni gruppo umano era capace di sviluppare un proprio uso autonomo di farina e miele senza copiare da nessuno..

    Il nome spongata
    Il primo scoglio nel parlare della spongata è stato proprio il nome spongata. Ben pochi hanno saputo andare oltre la somiglianza di questo la parola con la parola spugna il latino e non sapendo trovare un collegamento con il nostro dolce si sono inventati che una volta era spugnoso o che una volta la superficie veniva pizzicata per dare l'aspetto di spugna! Grossa scemenza perché l'aspetto è diventato brutto solo da quando hanno smesso di fare la giusta sfoglia!
    Se avessero saputo cercare nel Glossarium mediae et infimae latinitatis del Du Cange avrebbero trovato che la parola Sphongatum già nel medioevo indicava una specie di torta (placentia species). Nell'opera Miracula D. Georgii Mart. si legge: Transiere mercatores, qui viso Sphongato gratissimum odorem spirante; comedamus, inquiunt, hanc tortam. Purtroppo non si trova l'epoca in cui l'opera è stata scritta.
    Se avessero guardato alla voce Ifungia avrebbero trovato che esso, anche nella forma sfungia, indicava una specie di galletta poco lievitata.
    Se poi si va a cercare in un testo latino di Apicio commentato, si vede che secondo Isidoro il termine spongia indicava ogni impasto atto ad imbibirsi e cita una pasta di uova e latte da friggere. A Roma di sicuro non nidicava un dolce perché la parola spongia indicava la loro "carta igienica" e non era cosa distinta usarla
    Si può tranquillamente concludere che in latino e nel medioevo vi era una parola che aveva la sua origine etimologica della parola spugna, ma che poi era passata ad indicare genericamente delle torte o delle focacce o dei pani morbidi (così il Forcellini nel suo Lexicon totius latinitatis); nel Comelico, ad es. vi è un antico semplissimo pane dolce lievitato che si chiama anch'esso spongato con una analoga fongada a Lumezzane. È quindi cosa sciocca immaginarsi il nostro dolce come spugnoso o con la superficie spugnosa.
   Ipotesi ancora più sciocca è pensare che il nome derivi dal fatto che la torta veniva sforacchiata per facilitarne la cottura. La bucatura richiesta di una torta alquanto asciutta è minima e non certo appariscente fino a darle un nome speciale e mai si fanno tanti buchi da farla assomigliare ad una spugna. Semmai in certe torte può essere rilevante la lievitazione e la pasta cotta può assumere un aspetto simile a quello della spugna ed è verosimile che certe torte assumessero il nome generico di sfongie. Nell'Ottocento la parola spongata equivaleva a mousse (Vedi Il re dei cuochi, 1880, pag. 840 e segg.) eppure non era bucherellata! Si veda anche Dubois-Bernard, La Cucina Classica 1878, vol II, pag.385: — Spongata al maraschino. — La spongata è una preparazione d'origine italiana, molto in uso a Roma. La si confeziona indifferentemente con crema o con frutta. La sua perfetta leggerezza dipende sopratutto dalla manipolazione. La spongata si serve in bicchieri come il punch gelato.
    La relazione con la spugna e la spongata è puramente linguistica e non di aspetto o di sostanza. Le parole sono solo delle etichette che poi ciascuno applica alle cose vicino a sé, via via diluendo il significato originario, il significato non può essere ricavato dalla parola, ma si deve far capo alla cosa. Classico l'esempio del ketchup di cui si legge che "originariamente era una salsa indonesiana" e molti credono che dentro ci sia qualche cosa di asiatico, La realtà è che vi era questa salsa, che il suo nome è passato poi ad indicare genericamente ogni salsa, fino a che negli USA il nome è stato applicato alla nota salsa di pomodoro!
    Talvolta si è richiamata la Spagna come paese di origine della parola. Ciò perché si è fatta confusione con lo “zucchero spongato” (esponjado in spagnolo) che era una specie di solida meringa da scolpire per fare ornamenti, una preparazione del seicento che non poteva esistere nel trecento e non poteva dare il suo nome a nessun dolce.
Concludendo: la parola spongata era fin dal medioevo un termine generico sinomimo di focaccia, che poi è stato applicato ad un dolce che aveva un aspetto simile.

La spongata e i romani
    Il secondo scoglio è derivato dal voler ad ogni costo ricollegare al mondo latino il nostro dolce. È un vecchio vizio dei nostri studiosi i quali, per aver studiato per tre anni latino le scuole medie, pensano poi di avere uno strumento universale per conoscere il passato. È certo che nei documenti dei romani non vi è assolutamente nulla di ricollegabile alla spongata. Tutto quanto si trova scritto attualmente è un puro falso.
     Quasi dappertutto si legge che nella cena Trimalcione vennero serviti dei dolcetti che assomigliavano alla spongata. È certo che i romani avevano molti dolci con miele e frutta secca, ma nel Satyricon si legge solo
    1) 66 .. Sequens ferculum fuit sciribilita frigida et supra mel caldum infusum excellente Hispanum. Di secondo ci hanno portato una focaccia fredda con sopra del miele caldo, di quello spagnolo che è la fine del mondo.
    2) 69 … Nec ullus tot malorum finis fuisset, nisi epidipnis esset allata, turdi siligine uvis passis nucibusque farsi. Dio solo sa quando sarebbe finito quello strazio, se non avessero servito il dolce, a base di tordi farciti di uva passa e noci (tordi di farina di segale farciti di noci e uva passa). Che c’entra la spongata? Qualche latinista ha letto tordi e capito torte! E spalmare un pezzo di pane con del miele non sarà mica una ricetta da tramandare ai posteri come segreto di famiglia!
     Si è persino arrivati a dire che ve ne è traccia nei Fasti di Ovidio ove si trova
 (Fasti, I, 185) quid volt palma sibi rugosaque carica et data sub niveo candida mella cado (o favo)? e cioè letteralmente “che cosa significano i datteri e i fichi secchi della Caria e il miele limpido che si dona in candidi vasi?”, traduzione che ho riscontrato in sei testi in quattro lingue diverse dal 1730 in poi, tutti concordi! Si parla cioè di vasi dati come strenna con dentro prodotti pregiati. L'inventore della bufala fu il botanico dei primi dell'ottocento Antonio Bertoloni di Sarzana, buon botanico e buon latinista (scriveva anche in latino), che non può essere tacciato di ignoranza, ma che, necessariamente, deve aver fatto carte false per spirito campanilistico. E così ha tradotto i vasi in focacce! Con questi metodi di ricerca, tanto varrebbe scrivere che Eva è all’origine dello Strudel di mele e che ha inventato i dolci leccandosi le dita sporche di miele!
    Pare proprio che i botanici non abbiano fortuna in materia di gastronomia. Pare (ma forse anche il riferimento è una bufala!) che il famoso botanico Targioni Tozzetti abbia riferito l'aneddoto secondo cui a Giulio Cesare non piacquero gli asparagi conditi con il burro o con olio di mirra (trovo entrambe le versioni) e serviti a lui e suoi centurioni a Milano; se avesse letto il testo originale greco nella Vita di Cesare di Plutarco, avrebbe evitato due secoli di bufale, trasmesse da padre in figlio! Plutarco narra che furono i centurioni a lamentarsi, che Cesare li trattò da femminucce, e che il testo non parla di burro od olio di mirra, ma di un grasso genericamente!
    Forse gli studiosi avrebbero potuto citare Plinio il Vecchio che nella sua Storia naturale (XVIII-27) scrive Durat sua Piceno in panis inventione gratia ex alicae materia, eum novem diebus maceratum decumo ad speciem tractae subigunt uvae passae suco, postea in furnis ollis inditum, quae rumpantur ibi, torrent, neque est ex eo cibus nisi madefacto, quod fit lacte maxume mulso.E cioè: "Il Piceno è conosciuto per l'invenzione del pane fatto con quel cereale che detto Alica (era una specie di spelta). Il suo tritello viene fatto macerare per nove giorni e il decimo giorno lo si impasta con succo di uva passa e si formano dei filoni; poi si cuociono nel forno dopo averli messi in vasi che poi si rompono. Si mangiano solo dopo averli ammollati, di solito in latte con il miele".
    I Greci e Romani citano un centinaio di diversi tipo di pani conditi e che ben si possono chiamare torte e già era sorta una letteratura su di esse, citata da Callimaco, e vi erano fornai specializzati in essi (dulciarii, placentarii, lactarii, crustularii, libarii, panchrestorii, fictores, pastillarii, scriblitarii, ecc. Si veda H. Blümner Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste bei Griechen und Römern, 1875). È chiaro però che il voler ricollegare piatti medievali o rinascimentali a queste scarne notizie è pura masturbazione mentale, priva di ogni significato; o forse certi pensano che gli uomini antichi non avessero capito che il miele è dolce ed è buono spalmato sul pane?
È mai possibile che uno vada a cercare in Ovidio ciò che proprio non c'è, e non sia capace di guardare in Apicio il quale spiega come conservare i dolci fatti con il miele impastandoli con del lievito (Libro I, XIV), il che ci indica come venivano fatti i dolci all'epoca e ci fa capire che di spezie orientali si usava, nei cibi e nel vino, solo il pepe?

    Spongata e Sudtirolo
    Non parliamo poi di coloro che riescono perfino ricollegare la spongata al mondo tedesco solo perché hanno sentito dire che in Alto Adige vi è un dolce natalizio detto Zelten, un po' speziato! In realtà la parola Zelten non vuole affatto dire dolce raro (dalla parola selten) fatto per le feste natalizie, perché per ricercare le etimologie non basta aprire bambinescamente un dizionario tedesco, senza conoscere la lingua, e aggrapparsi alla prima assonanza che si trova; la parola Zelten è un'antica parola germanica che indicava semplicemente il pane ed infatti il dolce dell'Alto Adige era inizialmente solo un pandolce con dentro frutta secca e poi lentamente si è trasformato diventando un pane quasi senza farina, formato di frutta secca, frutta candita, miele e spezie. A Trento lo stesso dolce viene ancora fatto nella forma originaria di pandolce.

    Per capire l'assurdità di certi accostamenti basti pensare che la spongata è una sfoglia con dentro un ripieno, mentre gli altri dolci sono impasti con frutta secca (pandolce) o impasti molto speziati (panpepato) o composizioni di frutta secca e canditi amalgamati (panforte). È cosa assurda volerli ricollegare sotto un unico denominatore.
   L'Italia è piena, dalle Alpi alla Sicilia, di dolci locali con dentro frutta secca e spezie: lo Zelten tirolese, la gubana friulana, i mostaccioli un po' dappertutto, la strocchia umbra, il panforte, la pitta “nchiusa” in Calabria, ecc. ecc. Solo un incolto può pensare che gli italiani non fossero capaci di applicare il sano principio gastronomico secondo cui ad usare cose buone si fanno cibi buoni (bon fa bon!) e può pensare che le specialità le hanno portate i … Re magi! Ogni regione ha sperimentato con i prodotti di cui disponeva, i poveretti con i fichi secchi, i ricchi con le spezie costose e ognuno, nel suo piccolo, ha creato specialità, migliorate poi nei secoli con un normale processo evolutivo.
     La grande varietà di dolci analoghi si spiega con la scarsa trasmissibilità delle ricette da un luogo ad un altro: è cosa del tutto normale che in un paese si mangi un certo piatto e che esso sia sconosciuto nella vallata confinante, per quanto appetibile. È il frutto della mentalità contadina secondo cui "io non mangio ciò che non mangiava mio padre", come si usa dire in Tirolo; basti dire che le patate si sono diffuse sulle Alpi solo nell'Ottocento. Eppure vi sono greggi di gastronomi secondo i quali ogni piatto è stato copiato o ispirato da altri genti, e con più lontane sono, meglio è!

    La diffusione in Italia
    Il terzo scoglio è quello della sua diffusione in Italia. È certo che essa si ritrova sul percorso della via Francigena dal Golfo della Spezia, su per la Lunigiana, scendendo poi verso Parma e procedendo fino a Piacenza. Si trova poi in zone laterali quali a Crema, Busseto, Borgotaro, Berceto, Bosco d Corniglio, ecc. come è normale che avvenga per un prodotto che merita di essere imitato.
    Purtroppo si legge poi che la diffusione del dolce sarebbe avvenuta perché i pellegrini lo portavano con sé lungo la via Francigena, come se i pellegrini fossero dei moderni turisti che, arrivati in un paese trovavano, il negozietto ove comprare i ricordini; oppure come se i pellegrini fossero dei turisti con la carta di credito che lungo la strada si fermavano a fare spesette. I pellegrini in genere viaggiavano con un saio è un bordone, vivevano di elemosina e certamente non avevano soldi da spendere in dolci. E non l'avrebbero diffusa solo su di un percorso che facevano in pochi giorni. Mi si dirà che forse i diffusori sono stati i mercanti e i nobili; ma è poco probabile che nelle squallide locande dell'epoca si servissero dolci!
E' probabile che anche quella dei pellegrini sia una pura invenzione perché certo i pellegrini non viaggiavano a spongate, come gli esploratori con il pemmican! Pura invenzione come per lo Zelten, che alla spongata non ci assomiglia neppure da lontano. Pura invenzione perché la spongata è sempre stato un dolce natalizio e perciò i pellegrini non potevano rinforzarsi con essa durante il resto dell'anno, e tanto meno erano in viaggio sulle nevi dell'Appennino a dicembre!
    La diffusione lungo la via Francigena deriva più probabilmente dal fatto che lungo di essa sorgevano molti conventi per ospitare i pellegrini a cui veniva servito un pasto. I frati spesso si dedicavano alla produzione di specialità per i nobili e per sé stessi e vi era anche l'uso che in certe festività esse venissero distribuite anche agli ospiti. La diffusione si è avuta quindi da convento a convento e, per diffusione, dal convento ai signori della zona.

    Gli ebrei e la spongata
    Altra favola ampiamente diffusa è che la spongata l'avrebbero importata in Italia gli ebrei scacciati dalla Spagna nel 1492. È vero che ciò si ritrova anche in libri scritti da ebrei, ma senza una documentazione che comprovi l'esistenza della ricetta della cucina ebraica. È da escludere però l'origine ebraica della spongata, anche se per ipotesi si trovasse una corrispondenza nella cucina ebraica, perché essa si ritrova in Italia già prima della cacciata degli ebrei dalla Spagna; e gli ebrei ashkenaziti, già presenti a Venezia, non conoscevano un dolce analogo. Si consideri che fin dall'inizio era d'uso stendere la sfoglia e l'impasto in stampi di legno incisi con simboli religiosi e che veniva usata per le feste natalizie, il che dimostra piuttosto la provenienza da conventi che da case ebree. Del resto contatti fra cucina italiana ed ebrea possono ipotizzarsi nelle città ove vi erano ghetti o grosse comunità, ma non certo in piccole località ove gli ebrei erano visti come i cani in chiesa. Né di certo gli ebrei venivano assunti dai signori del tempo come cuochi. Vi erano senz'altro ebrei che facevano i medici e gli speziali, ma non certo in numero tale da influenzare gli speziali italiani.
    È vero che in Italia, che è sempre stato il paese europeo più accogliente, gli ebrei si stabilirono anche a Roma, nel Mantovano, nel Cremonese e in molte altre località, grandi e piccole, dando vita a una florida stagione culturale, che avrebbe lasciato importanti e durature tracce nella letteratura, nella musica, nei costumi, nella cucina e nelle abitudini di vita quotidiana delle popolazioni con cui entrarono in contatto, ma ciò non può spiegare perché la spongata sia stata creata solo in una zona abbastanza ristretta e non certo frequentata da ebrei e in cui certamente gli ebrei non facevano i panettieri o i fornai. E perché non sia stata creata dove vi erano collettività gli ebrei molto grandi. Eppure vi è stato il solito pensatore della domenica il quale si è inventato che presso la pasticceria "Degli Svizzeri" a Pontremoli aveva senz'altro lavorato un pasticcere ebreo! Basta conoscere la torta di noci e miele dell'Engadina per capire che i pasticceri svizzeri erano maestri nel lavorare lo zucchero e che non avevano nulla da imparare dagli altri!
     Ad ogni modo una influenza della cucina sefardita, non nella invenzione, ma nella evoluzione della spongata, è possibile. Ad es. Lo Sfratto del Goym, dolce grossetano di Pitigliano che gli ebrei preparavano in origine per la festività di Rosh ha Shana, il capodanno religioso che si tiene a settembre, è molto simile. È una sfoglia arrotolata a salame schiacciato contenente un ripieno di  350 gr miele 350 gr, 350 noci sgusciate, 1 scorza d'arancia, 1 pizzico noce moscata, 1 pizzico cannella.
     Trovo in un testo, spesso affabulante ( www.ligucibario.com ) : A Brescello, tuttavia, come anche a Soragna ecc., la spongata – si badi bene – è detta “dolce degli ebrei”. Gli ebrei, in effetti, a Pasqua sovente consumano sfoglie di pasta farcite con frutta secca, la cena detta dell’Haroseth (Charoset), un composto di mele grattugiate, fichi, noci e cannella diluita nel vino, commemora le sofferenze patite dal popolo ebraico in Egitto costruendo gli edifici dei Faraoni. Orbene lo Haroset è un pastone di frutta fresca e secca, solo talvolta con po' di cannella, che solo con capriole acrobatiche può essere collegata alla spongata. E la spongata a Brescello è documentata dal 1454, prima che gli ebrei arrivassero in Italia, come documentalmente provato:
- In una missiva che il Referendario Generale di Parma – Giovanni Botto – indirizzava a Francesco Sforza in accompagnamento ai doni natalizi, anno domini 1454, si cita la “Spongata de Berselo“, così come un anno dopo le spongate si citano in una lista che Messer Pietro degli Ardizzoni spedisce da Reggio a Ferrara al Magnifico Borso d’Este, conservata nell’archivio delle Masserie Estensi di Modena.
- Il 6 gennaio 1473 il duca Ercole di Ferrara viene gratificano di doni, fra cui spongate “de Berselo”.
- Nel diario di Gian Marsilio Pio, durante la sua detenzione nel castello estense, si legge “alli 3 gennaio 1476” che “questi anni, alla Natividade si è avuta una spongata, una scatola di codognata e una citrognata”.

Aggiunge poi il sito sopra citato:
Ebrei furono peraltro anche numerosi e capaci pasticceri via via attivi in Svizzera, tanto da ipotizzare un legame fra la spongata e quella fuatscha grassa dell’Engadina, in origine una calorica pastafrolla contadina a-tutto-burro, riservata alle festività e agli ospiti, dalla quale i pasticceri originarono più sofisticate torte, farcite con crème caramel e noci.
Purtroppo non si può far cultura senza documentarsi. La storia della torta di noci grigionese – o engadinese – è da considerarsi in relazione al movimento di emigrazione verso la regione al sud delle alpi, che ebbe inizio nel tardo Medio Evo e proseguì fino al XIX secolo. Giovani grigionesi di diverse professioni, incluso panettieri e confettieri, emigrarono a Venezia e poi in altre regioni d’Italia e in Francia. Il canton Grigioni ha una tradizione di pasticceria molto antica; già nel tardo medioevo i pasticceri viaggiarono a Venezia. All’inizio del XVIII secolo, la città portuale e commerciale era il più grosso centro di emigrazione, anzi quasi l’unico; nel 1733 si contavano a Venezia 1180 aziende: 618 delle quali appartenevano a Grigionesi. Quando nel 1766 i Grigionesi furono espulsi da Venezia per motivi politici, emigrarono nel resto dell’Europa e diffusero la loro esperienza.
Si creò durante un lungo periodo una relazione interculturale di dare e ricevere: le tradizioni proprie, le ricette e altre conoscenze furono portate all’estero; quelle nuove acquisite, furono rimpatriate. In Engadina la torta di noci è conosciuta da secoli. La sua storia è strettamente legata alla tradizione dei pasticcieri engadinesi emigranti. Nel castello di Mammertshofen (Turgovia) si trovano documenti che attestano che il castellano Nicolin Orlandi (1744-1802), un pasticciere engadinese abbiente, rientrato in patria da Dresda, preparò una torta di noci alla fine del XVIII secolo.
Nel libro “Cumpatriots in terras estras”, dello storico Dolf Kaiser, si racconta un aneddoto accaduto nel 1850 e in cui la torta di noci gioca un ruolo decisivo.
Non esistono documenti sulla presenza di pasticceri ebrei in Svizzera o di un loro influsso sulla cucina svizzera specialmente in una zona povera come i Grigioni. Essa era zona di transito delle merci provenienti da Venezia e da Milano e semmai la torta di noci si dovrebbe ricollegare, come origine, alla "cupeta" valtellinese che usa lo stesso impasto di noci racchiuso fra due ostie; e in Valtellina vi sono certamente più noci che sulle Alpi Grigionesi ed è più facile che il dolce sia stato creato dove c'erano le noci e non le pigne di larice! La torta di noci può essere considerata un prodotto tipico engadinese solo nel contesto della storia della pasticceria e non in base alla materia prima: infatti le noci (Juglans regia), che vrescono anche oltre i mille metri, non abbondano in Engadina poiché il clima è troppo freddo. Leonhard Truog, sacerdote e storico grigionese, scrisse nella sua opera “Neue Geogaphie” (Nuova geografia) del 1826: “I noci [a Seewis] sono di bella statura, ma non sono alberi utilizzabili per la produzione poiché il gelo primaverile spesso uccide i fiori”. Si ipotizza, senza prove, che la ricetta sia stata portata da pasticceri che lavoravano in Francia poiché nel Périgord era nota la “Tarte aux noix du Périgord” (però senza sfoglia di copertura), o lo Bourianoix, che assomiglia alla torta di noci (Vedi Chasper Pult,  Cucina grigionese, 2007), ma che è praticamente sconosciuta anche ai francesi. Ma perché mai poi gli svizzeri avrebbero dovuto copiare un semplicissimo dolce di un paese a 1400 km di distanza? Semmai copiavano il foie gras del Périgord! Una pura bufala come quella degli ebrei!
Si badi poi che in sé il dolce è elementare e corrisponde, come impasto, a quelle specie di torroni  fatti in tutt'Italia con noci, mandorle, nocciole,  sotto il nome di  copata in Toscana, cupeta in Valtellina, cupete a Napoli e Sulmona, cubeta in Sicilia, in quanto deriva dall'arabo Qubaida  che indica i semi  di sesamo. E' un dolce e un nome già attestato fin dal 1570 nel Vocabulario de las dos lenguas toscana y catellana di Cristobal de las Casas.
Si trattava evidentemente di dolciumi noti dappertutto, perché miele e noci ce li avevano tutti e quando vi è stata abbondanza di zucchero, il dolce è stato migliorato, come hanno fatto in Svizzera. Ma è pura stupidità pensare che se si trova lo stesso prodotto simile in due paesi distanti centinaia di chilometri, uno dei due lo ha copiato dall'altra! Le ricette hanno difficoltà a superare i confini di una provincia! Una pura bufala come quella degli ebrei!
Va detto che nella grande raccolta di 515 ricette dei Vescovi di Coira (Ein Schön Kochbuch 1559, Ed. Kommissionsverlag Desertina) non ve ne è ancora traccia. Però chi le ha studiate, fa presente che questo tipo di dolci veniva preparato dai fornai-pasticceri e perciò non ci si deve meravigliare se la ricetta non compare nei ricettari per cuochi.
Una cosa è certa: non vi è traccia di pasticeri ebrei in Svizzera perche ve ne erano così tanti locali, da dover emigrare!
    Né gli speziali ebrei erano di certo essenziali per la diffusione delle spezie. Spesso si legge della assoluta rarità e dell’alto costo della spezie nel medioevo. Certamente non se le potevano permettere i poveretti, ma erano senz’altro alla portata dei ricchi. Ad esempio il vino all’epoca era di difficile conservazione e veniva largamente speziato e i cuochi usavano le spezie con larghezza per salse e bibite (v. Coment l’en deit faire viande e clarée, 1293.Testo anglo-normanno):
    Vin clairet: Prenez de la cannelle, du gingembre, une demi-mesure de macis, des clous de girofle, de la noix de muscade, un tiers de folion, de la graine de fenouil, de l'anis, du carvi, un quart de cardamome et de jonc odorant, du nard pour la moitié de tous les autres ingrédients. Réduisez en poudre, puis mettez la poudre dans une poche. Prenez du vin blanc ou rouge, versez-le sur la poudre et passez à l'étamine comme une lessive. Vous obtiendrez ainsi du vin clairet.
Plus vous reverserez et passerez votre préparation, plus votre vin clairet sera fort. Si vous n'avez pas toutes ces épices, prenez de la cannelle, une demi-mesure de gingembre et de macis, des clous de girofle et du nard pour la moitié de tous les autres ingrédients.
    Tradotto: "Prendere della cannella, dello zenzero, una mezza misura di macis, dei chiodi di garofano, della noce moscata, della foglia indica, dei grani di finocchio, di anice, di carvi, un quarto di cardamono e di giunco odoroso (Acorus calamus, calamo) e del nardo (nardo celtico?) per la metà di tutti gli altri ingredienti. Riducete il tutto in polvere, mettetelo in una tasca di stoffa prendete del vino bianco rosso, versatelo allo sulla polvere e passate al setaccio come una liscivia. Otterrete così del vino clairet. Quanto più voi riverserete e farete passare la vostra preparazione nel setaccio, tanto più forte sarà il vino. Se voi non trovate tutte le spezie, prendete solo della cannella, mezza misura di zenzero e di macis, dei chiodi di garofano e del nardo pari alla metà delle altre spezie".
    Ed infine, ammesso che degli ebrei siano arrivati a Sarzana, si può anche immaginare che essi abbiano trovato la spongata e si siano detti "guarda, assomiglia al nostro dolce, proviamo a farlo anche noi ed a venderlo".
    Vi è poi un argomento convincente per dimostrare che gli ebrei non hanno nulla a che vedere con la spongata: essi, in Spagna, hanno senz'altro dato un contributo notevole alla cucina spagnola; se essi avessero cucinato una specialità come la spongata, come mai, proprio uno dei loro piatti migliori, non ha lasciato tracce? Chiaro che non la conoscevano o che i loro intrugli con spezie e frutta secca non emergevano rispetto ad analoghi piatti arabi o spagnoli.
    Pare ovvio concludere che questa smania di voler attribuire sempre ad altri popoli cose tipicamente italiane, come se gli italiani fossero gli ultimi sprovveduti in fatto di cibo, sia solo il frutto di un'impostazione mentale sbagliata… di sprovveduti. Ricordiamoci che per un prodotto elementare come il pandolce genovese, in cui l'unica differenza rispetto ad altri pandolci rustici è forse un cucchiaino di acqua di fiori di arancio, ci tocca leggere che esso sarebbe un'invenzione persiana per una principessa! Tanto vale credere alla Bella addormentata nel bosco e ai comizi dei politici.

Conclusioni
È inutile affannarsi a ricercare le origini della spogata; è un dolce medievale speziato, secondo la tradizione europea, che si è evoluto nei secoli, adeguandosi alla disponibilità di dolcificanti e spezie. Nel 1500, in Francia, Svizzera, Germania i libri di cucina sono pieni di ricette in cui costantemente si usano miscele di cannella, pepe, noce moscata, chiodi di garofano. Ci vuol poco a capire che era una moda diffusasi tra i cuochi del tempo come evoluzione naturale di precedenti cucine e che non esiste alcuna invenzione di un gruppo particolare.
    Qualunque popolo che fa una sfoglia arriva a capire da solo che ci può mettere dentro qualche cosa di buono; basti vedere, ad esempio un dolce analogo già contenuto nell'Anonimo Veneziano http://www.mori.bz.it/gastronomia/Anonimo%20Veneziano%20-%20Libro%20di%20cucina.pdf
del sec. XIV: LVIII-Pane de noxe maravigliosso e bone. Se tu voy fare pan de noce, toy le noce e mondalle e pestale, e toy de herbe bone e un poco de cevola gratà e specie dolze e forte e uno pocho de zucharo, e miti in lo mortaro con le noxe e fa pastume. Poy toy fior de farina e fane un folglio a modo de lasagne grande e largo e sotjle, e miti que­sto batuto suso, e muolzilo tuto insembre e falo a modo de uno pane, e poy lo caricha ch’el vengna sottile a modo de una fugaza; metilo a choxere in lo forno, e quando l’è cocto, trailo fuora e laselo afredare.
    Ed è inutile affannarsi a stabilire come erano dolcificati: in origine non potevano essere usati che il miele o la sapa (vin cotto) o marmellate preparate con frutta e miele o sapa. Nelle ricette emiliane si usava talvolta la mostarda di frutti, fatta con la sapa e ovviamente senza senape (come è la Mostarda fine di Carpi).

In merito alla diffusione, mi sono prego la briga di provare quasi tutte le spongate attualmente reperibili ed ho fatto un'interessante constatazione: mentre la spongata di Pontremoli era costituita da una sfoglia piuttosto sottile e friabile entro cui è posto un robusto strato di ripieno, formato con frutta secca, canditi, miele, spezie, e tale è rimasta, la spongata di Sarzana ha un ripieno analogo; è molto dolce, spesso con aggiunta di marmellata e fichi secchi e con pasta abbondante; impiega la pasta frolla.
- La spongata di Berceto ha molta pasta ed è dolcifica con miele e mostarda.
- La spongata di Brescello dà maggiore importanza alla pasta, di maggior spessore, non vi compaiono le nocciole e i chiodi garofano; l’impasto è più grossolano e più dolce.
- La spongata di Busseto è molto dolce con pasta più spessa, anch’essa molto dolce e con pezzi visibili di candito e frutta secca; viene cotta in tortiera.
- La spongata di Corniglio è particolare perché oltre al miele inserisce una robusta dose di mostarda e per il fatto che l’impasto non viene messo da due sfoglie, ma, dopo averne fatto una palla, viene avvolto nella sfoglia e poi schiacciato. È quindi piatta e piuttosto sottile, con molta pasta e poco ripieno. Contiene inoltre molto miele il cui profumo copre quello delle poche spezie.
- La spongata di Sarzana è anch’essa molto dolce, spesso con aggiunta di marmellata e fichi secchi e con pasta abbondante.

    Quindi si può dire che (almeno attualmente) quando si arriva in Emilia, oltre il passo della Cisa, la ricetta cambia in peggio. La sfoglia viene sostituita da un robusto strato di pasta tipo frolla e il ripieno si riduce ad un sottile strato molto più economico. È facile comprendere come la ricetta antica si sia diluita e perché sia scomparso l'uso degli stampi decorati: il nuovo tipo di pasta non si prestava a tale uso.
    In altre parole: la ricetta della Lunigiana è basata sul ripieno, nelle altre prevale la pasta e sono delle torte con un sottile strato di farcia speziata. Da ciò si potrebbe supporre che la ricetta originale sia nata in Toscana, senz'altro all'avanguardia in materia di dolci ricchi, e poi si sia diffusa nel Parmense impoverendosi via via che si allontanava da conventi e case nobili. Sia chiaro che la mia è solo una supposizione perché nessuno sa quali fossero le proporzioni fra pasta e ripieno due secoli orsono!
    La decadenza risalta anche se si leggono gli ingredienti delle varie ricette emiliane. Lo zucchero e il miele lasciano il posto alla mostarda e alla sapa; entrano nella spongata mele, mele cotogne, marmellata, con peggioramenti tanto più grandi quanto più il luogo di produzione è lontano.
    Del tutto inconsistente la spongata piacentina; è probabile che vi abbia messo le mani un ebreo locale; ciò non dimostra affatto che l'abbia introdotta lui, come si affannano a voler dimostrare gli studiosi paesani; ma, a giudicare dal risultato, pare che forse egli si sia preoccupato più che altro di risparmiare! Del tutto anomala la spongata di Cremona in cui si inseriscono le mele crude. Peggio ancora la spon garda a nord di Cremona, come, ad es. a Crema, che è solo una pasta frolla ripiena di mele e marmellata.
    Leggo negli atti del Convegno sulla spongata tenuto a Pontremoli nel 2003 (Rivista della Accademia Italiana della Cucina) che anche a Pontremoli si sarebbe usata un po' di marmellata di mele: a me ciò non viene confermato né dal sapore, né dalla consistenza.
    In quel convegno vennero presentate interessanti relazioni. Da quella del Delegato Francesco Ruschi Noceti ricavo queste puntuali notizie storiche:
 A Pontremoli la spongata è indissolubilmente legata al nome dei Ceppellini. Il dolce era una delle sette portate del pranzo pontremolese di Natale; ne ha scritto Manfredo Giuliani, ne ha parlato al convegno Nicola Michelotti e, sulla base anche di documenti e testimonianze, è possibile ricostruire la tradizione locale della spongata. Gli Zeppelin tedeschi arrivarono a Piacenza nel Settecento e italianizzarono il cognome in Ceppellini. Giuseppe, doratore, intagliatore e stipettaio, a fine secolo si trasferì a Pontremoli. Qui terminava il servizio di diligenza Orciesi, i cui operatori e clienti alloggiavano all’albergo Ravani, situato all’inizio del rione di S. Niccolò, e mangiavano di fronte, all’osteria gestita dai Campolonghi (uno dei quali sposò una Orciesi). Luigi Ceppellini sposa una Campolonghi e dal matrimonio nasce Marc’Antonio (1814-1892) che diventa caffettiere titolare dell’Antica Pasticceria e Drogheria Pontremolese Ceppellini, sita nel palazzo Maraffi nell’angolo nord-ovest di piazza del Duomo. Marc’Antonio mette a punto molte ricette, tra cui la “sua” spongata. Il figlio Giovanni nel 1916 vende a porte chiuse licenza, ricettari, stampi per le cotte, utensili, arredi a Lazzaro Nadotti, che assume due aiutanti di Parma: Ulisse Rossi e Alfredo Marasini, i quali apportano alcune piccole varianti alla ricetta della spongata Ceppellini. Il figlio di Lazzaro, Mario Nadotti, continua l’attività di “caffettiere” fino al 1937, quando si impiegò in banca. L’esercizio prosegue con la gestione di Mario Riccò e Beppe Beghetti. Ad aprile 1943 Mario Nadotti depositata in Comune la licenza, la cui titolarità viene acquistata da Mario Riccò insieme agli utensili del laboratorio, alle ricette, compresa quella della spongata con marchio e logo col Campanone, ora passato al figlio Anzio, ultimo erede della più antica tradizione di spongata pontremolese. La licenza del bar invece fu venduta ai fratelli Luciano e Alvaro Bazzigalupi.
Da sottolineare che a Pontremoli producono spongate da lungo tempo anche gli Steckli (gli “Svizzeri”, eredi degli Aichta già presenti nel 1842 a Massa) e più di recente Fugacci (ora Serni) e Tarantola.
Gli ingredienti usati sono gli stessi, ma ciascuno conservava segrete le proporzioni e la dosatura delle spezie ed aromi.

21 gennaio 2020

 


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